#IntesaScienceNews: L’influenza sull’autismo del DNA esterno ai geni
Nuove risposte dalla scienza alla ricerca: un’approfondita analisi su 2600 famiglie, con almeno un membro affetto da un disturbo nello spettro autistico, ha mostrato il contributo di possibili varianti genetiche ereditarie in regioni non codificanti del genoma, responsabili nello sviluppo della malattia.
Autismo: un disturbo del neurosviluppo caratterizzato da una compromissione dell’interazione sociale e da deficit della comunicazione verbale e non verbale, che provoca ristrettezza d’interessi e comportamenti ripetitivi. I familiari, di solito, notano i primi segni entro i due anni di vita del bambino. La diagnosi certa può essere fatta entro i primi trenta mesi di vita. Una malattia dalle cause ancora sconosciute, oggetto di continue ricerche e dibattiti nella scienza e nella pseudoscienza.
A differenza della disinformazione portata negli anni a sostegno della tesi, ormai smentita, a proposito di un possibile coinvolgimento dei vaccini nello sviluppo della malattia, col passare degli anni, invece, la scienza sta proseguendo la ricerca, trovando sempre più nuove risposte alle cause di questo disturbo, diventato uno dei più studiati degli ultimi anni.
Una di queste risposte, molto recente, arriva da uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università della California, a San Diego, e del Rady Children’s Hospital, nella medesima città, che dimostra come lo sviluppo di disturbi dello spettro autistico sia legato anche a varianti genetiche ereditarie che si trovano in regioni non codificanti del genoma.
Ricerche precedenti hanno dimostrato che le mutazioni nei geni che codificano per proteine hanno un ruolo nello sviluppo dei disturbi dello spettro autistico. Esse però non hanno spiegato tutti i casi di autismo né la varietà di forme in cui esso si presenta.
Per questo da alcuni anni i ricercatori hanno iniziato a studiare altri fattori genetici che possono contribuire al disturbo, concentrandosi in particolare sui cosiddetti fattori epigenetici, vale a dire sostanze presenti nella cellula (per esempio particolari enzimi) che sono in grado di influire sul livello di espressione dei geni ma senza alterare la sequenza del DNA.
Nella ricerca della malattia, invece, era stata dedicata minore attenzione alle cosiddette variazioni strutturali non codificanti del DNA, come le duplicazioni o le cancellazioni di sequenze di nucleotidi (i “mattoni ” costitutivi del DNA) in regioni del DNA che non codificano per proteine, ossia al di fuori dei geni.
Il ricercatore William Brandler e un gruppo di colleghi hanno sequenziato il genoma di 9274 soggetti provenienti da 2600 famiglie in cui erano presenti casi di disturbi dello spettro autistico, ponendo particolare attenzione alle variazioni nella parte non codificante del DNA. I ricercatori hanno così isolato 829 famiglie, per un totale di 880 soggetti affetti da qualche forma di autismo e 660 sani, nel cui genoma non erano presenti varianti di geni, né ereditate né de novo (cioè insorte durante il processo di formazione dei gameti per un errore di copiatura del DNA), note per essere in qualche modo associate all’autismo.
A seguito di un’analisi genetica condotta dai ricercatori si è dimostrata la presenza di diverse variazioni strutturali non codificanti del DNA, che erano state trasmesse con una frequenza molto più elevata ai figli affetti dal disturbo rispetto ai fratelli, e che riguardavano per lo più i cosiddetti elementi cis-regolatori, regioni del DNA che contribuiscono all’espressione di un gene e che si trovano (a differenza di altri regolatori) nelle immediate vicinanze del gene.
I ricercatori coinvolti in questo studio hanno anche scoperto che il contributo dei genitori a queste varianti non è uguale, poiché vengono ereditate dal padre in più della metà dei casi.
Fonti: LeScienze.it
Articolo a cura di: Rosario Seminerio